Cannes cala i pezzi da novanta, gli assi che hanno fatto definire a molti il concorso di quest'anno un cartellone "grandi firme". Dopo Brillante Mendoza, regista filippino che ha fatto sentir male molti con il suo (quasi) snuff-movie Kinatay (sequestro e omicidio cruento di una ragazza, con dispersione e frammentazione dei resti), è Lars Von Trier a prendere a pugni pubblico e critica. Il suo Antichrist è una violenta e gratuita novella su amore e psicanalisi, su follia e sesso. Mutilazioni genitali, sequenze horror, qualche secondo di primo piano di una penetrazione, maltrattamento di animali. Non manca niente nel solito circo cupo e furbissimo del regista danese. Ma questa volta non ci casca nessuno: fischi e ululati per lui, solo qualche applauso, di breve durata, dai suoi irriducibili sostenitori. Va decisamente meglio alla Quinzaine dove Go get some Rosemary racconta una famiglia scombinata e giocosa.
Antichrist- Concorso
Lars Von Trier è il rivoluzionario più conformista che esista. Superbo e astuto, ha fatto e disfatto regole a sua immagine e somiglianza (da Dogma al suo accantonamento) per stupire pubblico e critica con facili stratagemmi. Uno dei quali è alzare la soglia della sopportazione fisica degli attori e visiva degli spettatori. Da Dancer in the dark in poi ha maltrattato grandi attrici, consenzienti ma neanche troppo (vedi i traumi di Nicole Kidman), e il buon gusto. Antichrist è l'apice di questo suo atteggiamento arrogante, il punto più alto dell'espressione disturbata e disturbante del suo cinema. In Italia uscirà il 22 maggio (per Lucky Red, ma si fa fatica a capire come e dove, le immagini del film creeranno polemiche certe), ieri in sala Debussy c'è stata l'anteprima per la stampa. Risate fragorose durante la proiezione, fischi prima timidi e poi roboanti (con tanto di ululati) quando arriva la dedica finale a Tarkovskij. La storia è quella di una coppia (Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg) che subiscono un lutto atroce: il loro unico figlio arriva carponi fino alla finestra e inconsapevole si butta, morendo, mentre loro fanno sesso selvaggio, offerto da Von Trier in bianco e nero, con particolari e una retorica stilistica puerile. Inizia un viaggio nel dolore in cui lui, psicanalista, cerca di guarire i sensi di colpa di lei. In una foresta, nella migliore tradizione degli horror più elementari- genere che il cineasta danese qui usa e abusa-, esploderà la follia. Dei protagonisti della storia e del regista. Von Trier scatena tutte le sue ossessioni maschiliste, il suo morboso immaginario, il film ha una struttura solo apparente (è diviso in epilogo, tre capitoli e prologo) ma è solo un pretesto per sconvolgere, far male e, soprattutto, far parlare di sé. Un'opera irritante e manierista.
Go get some Rosmary- Quinzaine des Realisateurs
Un film indipendente, un pò pazzo, malinconico e a tratti esilarante. Un identikit che si attaglia bene a molti dei film di questa sezione "ribelle". I fratelli Joshua e Benny Safdie, per far capire subito che tipi erano, sul palco si sono presentati l'uno sulle spalle dell'altro, occhiali e pettinatura da nerd quello sotto, barba incolta e capelli spettinati quello sopra. Il loro film è uno sguardo autobiografico sulla loro infanzia scombinata, con un padre innamoratissimo dei suoi figli ma completamente inadatto alle responsabilità del suo ruolo. Girato a bassissimo budget, molta macchina a mano (e tremolante, all'inizio, tanto per sottolineare la firma superindipendente dell'opera), attori con facce vere, uniche. E una coppia di bambini- quelli che interpretano i registi da piccoli- assolutamente fenomenale. Si ride, ci si commuove, ci si preoccupa per le loro disavventure. C'è talento da vendere in tutto il team che ha permesso la realizzazione di questa pellicola.